“Allora in Kenya niente spiagge bianche, niente palme a quarantacinque gradi?”
“Mi dispiace se cercavi questo, ma qui a Malindi almeno no. Del bello però ce n’è ugualmente, non ti preoccupare” rispose Franco, cedendole in extremis il passo con galanteria verso la scaletta dell’aereo.
La mattina africana era piuttosto calda e umida, come si era potuto intuire negli ultimi minuti di volo sbirciando dal finestrino sul manto di nuvole basse.
Sandra scese con profondo senso di liberazione gli ultimi scalini e toccò terra, mentre i piedi, che si erano gonfiati (Franco le fece notare che ciò avveniva d’abitudine durante i voli di una certa durata), la obbligavano a calzare a ciabatta le scarpette da ginnastica.
Così questo era l’aeroporto di Mombasa.
Il volo non era stato dei più pesanti, pensò Sandra; aveva anche dormito, e se non fosse stato per il brusco risveglio del breakfast delle tre di notte avrebbe ragionevolmente continuato il sonno fino al suolo africano.
Intorpidita com’era, solo confrontando l’orologio dell’aeroporto, che segnava le sette e venticinque, con il suo – cinque e venticinque -, si ricordò dello spostamento di fuso orario.
Erano le cinque, in Italia. Sbadigliò con piacere, poi accorgendosene, si portò la mano davanti alla bocca solo in un secondo momento, un po’ meravigliata di se stessa.
Be’, pensò, siamo in Africa, qui inizia la libertà.
Si erano incamminati verso il controllo di polizia per le formalità di frontiera; la fila si snodava lentamente in mezzo ai fioriti arbusti rossi che in fretta le facevano dimenticare le nebbie padane.
Ecco apparire i primi cartelli dalle scritte vagamente esotiche, che Franco puntualmente provvedeva a tradurre. “Safiri ? Exit” le fece subito venire a mente i Safari, i leoni, gli elefanti.
Un poliziotto nerissimo in maniche corte squadrava da capo a piedi le persone che la precedevano, controllando scrupolosamente se le foto dei passaporti fossero quelle delle persone in piedi davanti a lui. Meno zelante il poliziotto della fila accanto timbrava senza neppure guardare, con la testa pesantemente reclinata sulla spalla, tutto appoggiato al gomito sinistro, sonnecchiante.
“Hai preso la fila più lunga! Be’, ti aspetto qui fuori”
Noiose formalità, pensò, mentre la circolazione sanguigna andava normalizzandosi e il senso di sollievo ai piedi si faceva via via più sensibile.
Non si muovono mai, osservò con un misto di smania e di rassegnazione. Pensava alla piscina, ai long drink, e a tutti quei riti che Franco le aveva minuziosamente descritto, come a un traguardo inaccessibile. Non lontani, anzi molto vicini; li vedeva ma non riusciva ad afferrarli. Supplizio di Tantalo.
Non si muovono mai.
Poi, all’improvviso riprendono a muoversi. Sandra passa, timbro Republic of Kenya sul passaporto, visto di entrata, forza, ora ritiriamo i bagagli.
Che umidità, mi sento tutta appiccicata, non ho ancora avuto il tempo di cambiarmi.
Ieri sera, pensò ancora, arrivando in aeroporto avevo freddo, adesso sto davvero sciogliendomi. Il dramma di vestirsi neutri per non andare bene assolutamente né con il caldo né con il freddo.