Sergio Bevilacqua legge Hakuna Matata di Cesare Bellentani

Dal capitolo 21

Di scrivere non le andava, era troppo nervosa. Provò a leggere. Aveva terminato la Metamorfosi e aveva iniziato il Giobbe di Roth. Per chi l’avesse giudicata dall’esterno poteva sembrare che avesse scelto la sua piccola biblioteca per la vacanza seguendo il filo invisibile del senso del destino. In realtà erano diversi anni che lo voleva leggere. Un suo caro insegnante le aveva detto che lo teneva sempre, come un Evangelo, sul suo comodino; e di tanto in tanto amava leggerne una pagina a caso. Era un inno alla speranza, le aveva detto; aiutava a capire come la nostra valutazione delle proporzioni sia diversa dalla loro essenza. Ora che glielo avevano regalato lo aveva portato con sé in vacanza, e ci si accostò, anche se avvertiva verso questa lettura un subitaneo senso di dovere più che di piacere.Provò a conciliarsi con il suo stato d’animo attraverso la lettura delle prime pagine, dove si raccontava del maestro ebreo russo Mendel Singer, di sua moglie Deborah, dei suoi figli e della loro povera vita. Davvero l’inizio era accattivante, con un ritmo lento e malinconico che si confaceva alle segrete pieghe del suo spirito. Ma quella sera il suo spirito era disturbato, pulsava, pulsava, e, come un tessuto infiammato, offuscava tutti gli organi del senso. Era come un bambino viziato che frigna, perché vuole assolutamente essere al centro delle attenzioni di tutti; e se tutti si stancano di lui, perché è proprio insopportabile, e se provano a lasciarlo in un cantuccio, strilla sempre più forte; e allora non c’è proprio verso di continuare la conversazione.