Sergio Bevilacqua legge “la memoria di Pietro Fornari” di Emanuele Ferraresi

Il ritorno a casa fu emozionante, soprattutto perché non ricordavo di avere quel televisore e quel mobile in salotto. Anche un paio di quadri alle pareti erano novità assolute, ma mi sforzai di non mostrare stupore per la loro presenza. Mio figlio era a scuola e presi a gironzolare per le stanze. Era strano ciò che vivevo: ricordavo l’insieme, ma faticavo a riconoscere i dettagli, ad esempio la disposizione o le tende. Ben sapendo quale cura Elvira avesse della casa, non ero stupito di trovare tende nuove di zecca o qualche tappeto mai visto. Gli altri mobili sembravano gli stessi, ma al contempo erano diversi; non riconoscevo i soprammobili, che però avevano un che di famigliare. Mi stupiva il fatto che sentissi d’essere a casa, ma non propriamente a casa mia, come se mi trovassi a casa di un amico da cui vado ogni tanto.
Mi sedetti sul divano e presi il telecomando della tv. In ospedale mi facevano vedere Matlock, Cobra 11, o qualche quiz nazionalpopolare e di quella televisione spazzatura ne avevo piene le scatole. Ora ero a casa mia e il telecomando lo usavo io. Però non avevo mai visto quell’apparecchio e quindi trafficai un po’ prima di riuscire a trovare i canali e le funzioni che mi interessavano.
Accesi lo sconosciuto televisore a cristalli liquidi e scoprii che disponeva di canali a pagamento che trasmettevano senza pubblicità e in alta definizione. Feci un poco di zapping e mi imbattei in un film, “La Casa Russia”, con Sean Connery e una eterea Michelle Pfeiffer. Avevo già visto quel film almeno due volte, ma riguardandolo quel mattino mi accorsi di ricordare alcune scene, alcuni dettagli, ma non la storia. Quando i due protagonisti parlavano sulla cima del campanile, tra le campane del monastero di Novodevici a Mosca, il contenuto del loro dialogo mi era noto, ma non ricordavo il resto della trama.
Un dettaglio attirò la mia attenzione. Mi chiedevo come si facesse a guardare negli occhi Michelle Pfeiffer. Su questo particolare irragionevole mi fissai, su come guardare negli occhi una donna che li aveva così grandi, belli e… distanti. Se per un caso fortunato e assurdo potessi dedicare un intero stipendio per offrirle una cena, come farei a guardarla negli occhi, intendo in entrambi gli occhi? Dopo averci pensato un po’ decisi che avrei dovuto guardarne uno alla volta, perché era impossibile fissarli insieme entrambi. E in questa assurda considerazione persi quasi il filo della storia.
Quando il film stava per finire arrivarono mia moglie e Filippo, il mio aviatore. Per la verità speravo mi accogliesse con più calore. Filippo buttò lo zaino in un angolo e mi salutò distrattamente, prima di chiudersi in bagno per qualche minuto. Quando uscì venne ad abbracciarmi quasi con distacco, stringendomi appena. Era ormai più alto di me e mi sovrastò, ma nonostante l’abbraccio che mi avvolse lo sentii distante, lontano, come io fossi stato l’occhio sinistro della Pfeiffer e lui l’altro.