Sergio Bevilacqua legge “la memoria di Pietro Fornari ” di Emanuele Ferraresi

Ancora a distanza di molti mesi, mentre scrivo queste righe, mi si chiude lo stomaco pensando al disgusto e alla commiserazione per il mio stato che la sua rivelazione suscitò in me. Talvolta, quando sentiamo il racconto di un incidente accaduto a qualcuno, siamo invasi da un senso di disagio, simile a quello che ci provoca il gesso che stride sulla lavagna. Ebbene, quel tipo di incidente era accaduto proprio a me.
Moroni guardò fuori dalla finestra. Quel tre di marzo era cupo, uggioso, e ventoso. Le raffiche di pioggia sferzavano i vetri, rendendo il mondo esterno una specie di acquario.
E iniziò. La sua voce aveva un tono grave che non gli avevo ancora sentito: “Ha avuto il suo incidente il diciotto dicembre dell’anno scorso. Stava perlustrando un cantiere, insieme a un paio di agenti. Mentre controllava una vasca di decantazione ancora in costruzione, è scivolato. Purtroppo la vasca non era ancora chiusa. Per garantire la stabilità della struttura erano stati costruiti diversi pilastri verticali di cemento armato e all’estremità superiore di ciascuno spuntavano dei tondini di ferro”. Il dottor Moroni fece una breve pausa e prosegui: “Pietro, lei è caduto su uno di quei tondini”.
Non riuscivo a capire. Non avevo ferite al corpo; non avevo fratture o altro che potessi collegare a quei tondini.
Moroni continuò: “La sua testa è stata attraversata da uno di essi. L’ha trapassata da parte a parte, entrandole da destra, dietro l’orecchio, e uscendo a sinistra”.
Rimasi stordito per alcuni, lunghissimi istanti cercando di realizzare il senso delle parole che avevo appena udito. Un tondino di ferro mi aveva attraversato la testa? La mia testa? E io ero lì ad ascoltarlo?
Moroni, che continuava a succhiarsi il labbro inferiore, annuì ancora. “Lei è rimasto sospeso in bilico sulla vasca, inchiodato a quel tondino per diversi minuti, prima che arrivasse l’ambulanza. Tutti pensavano che fosse morto, perché nessuno avrebbe potuto sopravvivere a una ferita del genere. Invece lei respirava ancora. Per tirarla via da lì senza aprirle il cranio dovettero tagliare il tondino e caricarla sull’ambulanza così, con cinquantadue centimetri di ferro diametro sette che le attraversavano la testa da una parte all’altra”.