Sergio Bevilacqua legge “L’amore di Mairéad”

Stato di Androlandia, Eurasia.
Londra, Buckingham Androlandia Palace. Ore 6 di mattina del 4 settembre 2202.

I fulmini squassavano il cielo: un temporale si stava abbattendo sulla capitale dello Stato degli Uomini.
Leone II d’Androlandia sorseggiava un delicatissimo tè bianco e osservava la pioggia cadere insistente nelle prime luci dell’alba.
Era l’ora del notiziario. Premette il rubino incastonato sul bracciale d’oro e, dai minuscoli altoparlanti impiantati nelle cartilagini delle orecchie, iniziò a udire il bollettino delle ore sei. Il conduttore recitava col consueto tono celebrativo e la voce metallica: “Notizie dall’Eurasia. Duecentomila cloni eunuchi sono schierati a proteggere i confini orientali della nostra Sacra Terra; Stretto di Bering: grazie al crollo delle protezioni ipermagnetiche gynekiane, la bandiera androlandese sventola sulle isole di St. Lawrence e St. Matthew; Rotterdam: scoperte e subito giustiziate quattro gynekiane che spiavano il porto, nascoste su un’imbarcazione della flotta commerciale d’Umania…”
All’improvviso un’interferenza penetrò l’audio e il suo rumore sgradevole, come il verso protratto di un corvo, costrinse Leo a stringere i denti e a serrare le palpebre dorate. Imprecò sottovoce, e dovette attendere che svanisse per rilassare le sopracciglia tigrate e riaprire gli occhi azzurri.
Il notiziario procedeva con le notizie dalle Americhe: “Montagne Rocciose: successo delle azioni di disturbo delle Forze Immortali d’Androlandia; l’esercito delle donne allenta la pressione sul fronte alaskano; Montreal, Quebec: con una spedizione blitz, recuperata la scultura di Auguste Rodin ‘L’amor che fugge’, sottratta nel 2193 e ora rientrata a Parigi. La prossima edizione tra un’ora circa. Grande è la forza d’Androlandia!”
“‘L’amor che fugge’ ritorna a casa… Poteva anche continuare a fuggire!” sogghignò Leo, e sollevò da un lato le labbra carnose, rosse come ciliegie.
Un coro di voci maschili intonò l’inno nazionale androlandese, che sempre chiudeva i notiziari:

“We are the Immortal Males (Noi siamo gli Immortali Maschi)
We are the Royals of Nature (Siamo i Reali della natura)
Eurasia is our Land (L’Eurasia e la nostra terra)
Eurasia is Androland. (L’Eurasia è Androlandia)…”

L’inno sfumò, lasciando il sonoro a “A Hard Rain’s Gonna Fall” di Bob Dylan, una canzone adatta a quella mattina di mezza tempesta. “Oh, what did you see, my blue-eyed son…”: che cosa hai visto, quante ne hai viste, figlio mio dagli occhi azzurri, diceva il cantautore americano proprio come se fosse a lui… Da appassionato di musica del XX secolo, Leo rammentò che il vero cognome di Dylan era Zimmerman, ma aveva voluto chiamarsi così in onore del poeta Dylan Thomas. Lui, Leo Hughes jr., in fondo, aveva fatto la stessa cosa quando aveva deciso di chiamarsi Leo II d’Androlandia (e non Leo I) in onore del suo omonimo padre Leo Hughes, cui doveva due volte la vita e che era morto per lui.