“Qualcuno deve pagare”
Inverno 2011
Le ore si sono allungate e l’ultima settimana è durata come una stagione. Si ha l’impressione di essere entrati in uno strano sogno e di non essere capaci di uscirne.
La piazza è una distesa di energia e di adrenalina, un’alta marea di sogni che ondeggia in cerca di un vento che la muova e la diriga da qualche parte. Come i cani del porto, il popolo è in cerca del proprio maschio alfa.
Un altro giornalista nazionale ucciso. I contrasti numerici tra le varie Tv del mondo sono ormai evidenti: chi parla di dieci vittime, chi già di trecento. Il tempo dei numeri è sempre il futuro. Il presente è polvere sollevata, calci e bandiere.
Dall’estero si sentono versioni di tutti i tipi. Mentre nel Paese si mangia la realtà con tutta la sua terra nella bocca, di là dal mare ci si nutre degli spauracchi per l’insorgere di un regime islamico e di colorite ipotesi di apocalissi da strapazzo. Puzzle di versioni assemblate ad arte negli anni perché fossero pronte oggi – quando sarebbe bastato solo un filo di vento per far sollevare gli aquiloni della paura.
Dalla città, arrivano scenette impensabili di giovani civili che non lasciano passare automobili della Polizia, auto-nominandosi ufficiali al loro posto per mantenere un ordine. Nel porto che ora sembra una città fantasma, tutti aprono il loro negozio o il loro ufficio ogni mattina, senza un giorno di interruzione nemmeno durante lo sciopero a oltranza. Ma non si sa se lo facciano per inerzia o per speranza, per abitudine o perché non c’è altro da fare, se non sei a manifestare in quella piazza – a festeggiare o a morire.
Il Re intoccabile del riso amaro e della denigrazione spera che il popolo si esaurisca e che il Paese cada in ginocchio. Invece, i manifestanti si accampano e continuano a resistere. Quando la Polizia, nei suoi tanti travestimenti, spara sulla folla, le donne della zona interessata aprono le porte delle loro case e mettono in salvo una moltitudine di uomini.
Si avverte uno strano sapore umano prima sconosciuto: una commistione di grazia e di violenza, di lutto e festa insieme. Forse è lo sciroppo di ogni rivolta, dopo decenni di incarcerazioni e torture fisiche e sessuali senza processo, ricatti e pestaggi su chi si azzardasse ad andare a votare e la rete di spionaggio unilaterale o reciproco.