Un romanzo di grande respiro, che compone numerosi aspetti della migliore letteratura: rigore storico nella ricostruzione dell’ambiente (il protagonista vive di qua e di là dal muro di Berlino in tempo di guerra fredda); qualità microdrammaturgica, che impronta le emozioni di ogni paragrafo; ricchezza di elementi espressivi, che mostrano la personalità di una scrittura versatile, piena di esperienza umana e di cultura; rilievo filosofico, qualificato dalla dovizia e profondità degli inserti autoriali; spigliatezza della narrazione, ove l’autore si permette licenze che il lettore è entusiasta di accordargli, grazie al piacere umanissimo che lui gli somministra abilmente.
Giovanni Cancellieri, il grande chef modenese giramondo, questa volta è preso nel vortice di un intrigo politico finanziario internazionale, anche se quasi da spettatore, e sembra dire: “Ne ho passate così tante l’ultima volta, in “Un cuoco quasi fritto”, tra Bangkok e Mosca, che devo riposare…”. Pur con questa distanza, vi regala un gradito servizio: ricette meravigliose che nel tessuto drammaturgico si collocano proprio in momenti strategici, quando la tensione, l’unheimlich (siamo o non siamo nelle viscere della Germania?), lo straniante del romanzo spionistico-storico-amoroso, cerca respiro. Ed è un respiro profumato di manicaretti rassicuranti, che ci accompagnano fino all’epilogo drammatico di un ultimo convivio ad alta tensione, quello dell’ “Ultima cena a Berlino”. Il titolo ricorda il capolavoro cinematografico di Bernardo Bertolucci (proprio tutto suo, soggetto e regia), “Ultimo tango a Parigi”, coevo alla storia di Selmi, anch’esso gonfio di letteratura, erotismo e classe proprio come questo romanzo.
Intanto, degustate quest’opera letteraria elevata e i suoi sapori: presto ritroverete Cancellieri, immerso in altre vicende mozzafiato e sconvolgi-anima, nell’ultima opera della trilogia selmiana ambientata in Australia, in uscita nel 2015 per i tipi di IBUC.